Bazaar. Metamorfosi del desiderio

Il fulcro dell’indagine di bazaar: metamorfosi del desiderio è rappresentato dall’insieme di cambiamenti negli spazi del desiderio a cavallo del passaggio tra i due millenni. L’analisi di tali cambiamenti parte dal corpus di riviste dedicate alla comunità queer, che fanno parte dell’archivio di bar.lina e coprono il decennio 1994-2005. Porre la lente di ingrandimento su un fenomeno pop quale furono tali riviste tende a restituire una visione di quegli anni cruciali e di come esse divenivano uno spazio del desiderio e di appartenenza alla comunità. Editori e lettori creavano la comunità cui sentivano di appartenere attraverso forme di dialogo tipiche della rivista (editoriali, spazi dedicati al pensiero del pubblico) offrendo anche soltanto allo spettatore passivo l’occasione di identificarvisi. Il percorso espositivo dà senso al titolo, per via dell’estetica da bazaar – che peraltro era la denominazione delle pagine di annunci della rivista Babilonia. 


La metamorfosi avvenuta nel corso del decennio ha avuto carattere globale, non è prerogativa della comunità queer, e ci si riferisce naturalmente alla rivoluzione che un fenomeno come internet ha operato - ed opera ancora oggi - tanto nella vita privata quanto nella vita pubblica degli individui e delle collettività. La comunità, in questo caso, ha accolto il potenziale della rete per creare una piazza virtuale entro cui svolgere la propria vita e riversare le proprie aspirazioni. Per quanto analogiche, le riviste hanno raccolto la sfida dell’avvento di internet, dotandosi – a partire dal 1997, per quanto riguarda Babilonia – di un sito entro cui viene spostata l’area dedicata agli annunci, sino ad allora contenuta nella rivista. Anche i media ospitati sulle pagine si adeguarono alla rete, e tra pubblicità di hot line telefoniche, free agency per le persone in cerca del partner, annunci in fermoposta, si andavano insinuando, soprattutto a partire dal 2003, i primi spot di forum a pagamento, mentre si assottigliavano le pagine dedicate agli annunci postali, che già dal ’97 trovavano una propria collocazione negli spazi del sito ufficiale delle riviste.

 Emerge però, in questa sezione, l’eredità del linguaggio del desiderio che – immune ai cambiamenti dello spazio e del tempo – appare amaramente caratterizzato dalla stessa vena discriminatoria che ancora vi si manifesta. D’altra parte, alcune prerogative della comunità appaiono immutate, e ciò è vero non soltanto per la categoria del linguaggio, ma anche, non a caso, per i dibattiti sui diritti civili, antichi quasi quanto i moti di Stonewall e a tutt’oggi risolti in un poco ove nulla di fatto. Altro dato interessante sul quale si pone l’attenzione riguarda il carattere iconografico delle sezioni pubblicitarie che appare sostanzialmente uguale a se stesso, riconoscibile anche nei free press attuali o nelle locandine della maggior parte dell’offerta ricreativa (saune, luoghi di incontro, serate dedicate) anche nel contesto dei social. Il linguaggio visivo diventa ulteriore forma di appartenenza alla comunità entro il quale un certo pubblico può riconoscersi e ritrovarsi, prima ancora di varcare la soglia di uno spazio fisico. 


Altre categorie di desiderio affiorate nel corso dell’indagine sono quelle del desiderio sessuale e del desiderio amoroso-affettivo, le quali si fronteggiano e compenetrano allo stesso tempo. Le testimonianze del desiderio erotico si ritrovano ancora tra le righe degli annunci, documentando l’uso del linguaggio (attivo e passivo, barba e baffi, no grassi, no effeminati, no checche) che andava codificandosi nel corso di quegli anni ed è sopravvissuto al frenetico cambiamento dei costumi, sociali e sessuali, della comunità. Nessuno spazio al politicamente corretto, né tantomeno a forme di sensibilità e lotta alla rigidità delle categorie che soltanto negli ultimissimi anni si affaccia nel contesto delle istanze della comunità. Il desiderio amoroso è affidato a un corpus di lettere d’amore dalle quali si possono isolare un insieme di topoi – o sarebbe meglio considerarli dei cliché – che ci restituiscono un profondo senso di malinconia nei confronti dell’amore ed anche le difficoltà nello stabilire una connessione con il prossimo certamente figlia non soltanto del tempo ma anche delle pressioni cui la comunità era sottoposta. E prima fra le tante è ancora lo spettro dell’HIV, superato l’apice del dramma nella seconda parte del decennio, non aveva ancora esaurito la propria efferatezza nel troncare il desiderio sessuale e diffondere idiosincrasie che si riflettevano su ogni tipo di relazione. 


Ultimo segmento della mostra è wall – in onore dei Wall di Group Material – concepita come esperimento dialogico tra spazio espositivo, opera d’arte e pubblico. Il muro è un’opera collettiva e sostiene l’interazione fra i tre soggetti, e si propone di incarnare, oltre alla metamorfosi dell’opera d’arte, il senso di appartenenza tra spazio espositivo e pubblico. Quest’ultimo è invitato a modificare il muro con l’obiettivo di condurre su se stesso, e sul supporto, un’operazione critica sui contenuti dell’esposizione, ma anche una riflessione esortata dal senso di immedesimazione e dall’empatia. 

info@barlina.orgwww.barlina.org 

MOSTRA: bazaar: metamorfosi del desiderio

CURATORE: Andrea Acocella e Alberto Boncoraglio

DOVE: bar.lina, Viale dello Scalo San Lorenzo 49, 00185, Roma

APERTURA AL PUBBLICO: 16.12.2022 – 22.01.2023

ORARI: mar - gio 15.00 – .18.00 ; ven – dom - 16.00 - 19.30 


*Ingresso gratuito previo tesseramento


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Chiara Bruni - A Volte | 18.02.2023-25.03.2023